Senza titolo

di Lia Finato “Zazie”

Sai le volte, nonna, che ho avuto tra le mani quelle vostre foto? Quelle che tieni dentro le scatole, in disordine, quelle che si vede che sono antiche, hanno il bordo ricamato, sono piccole e in bianco e nero. Quelle che, mentre le passavamo tra le mani, tu mi raccontavi tutti i particolari. Quelle, nonna. Ma adesso tu non ti ricordi più. Le guardi, dici: Ma chi è questa bella donna? Sei tu, ti dico io. Tu ti stupisci, ti guardi, mica ci credi, ti guardi nella foto, e poi mi guardi, guardi di nuovo la foto e poi mi dici Osta se ero bellina! Ero bellina, eh! Eri bellissima, nonna, eccome se eri bella.
Quante volte le ho passate tra le mani, una ad una? E non gli cavavi mai i particolari, al nonno, ti ricordi? No, della guerra parlava mica tanto volentieri.
Sai quante volte, nonna, ho avuto tra le mani queste foto? Quelle che sono in bianco e nero e anche un po’ gialle, adesso. Quelle nelle quali cercavo, da bambina, di riconoscere un po’ del papà nel viso del nonno, ma soprattutto un po’ di me. La mia preferita è quella di voi due, eleganti, per le strade di una città. Tieni il nonno sotto braccio, stretto. Avete la faccia seria. Era il 1940 e stava partendo per il fronte. Già. Come eravate belli. Tu mi raccontavi sempre che lui ti aveva chiesto di sposarlo, e che tu gli avevi detto di no, che c’era la guerra, e che magari poi restavi vedova, non volevi restare vedova, e che lui aveva fatto un casino ma poi era partito, partire si doveva. E lo stringi così forte, sotto braccio, mentre camminate per le vie di quella città. Lo stringevi forte per non lasciarlo andare, sembra. Hai gli occhi tristi, sono preoccupati. È una foto rubata dallo scattino per la strada, una foto che dice tutto, nonna. Hai gli occhi tristi, anche preoccupati; ma più tristi, per me.
Quante volte le ho passate tra le mani, le foto del nonno dal fronte? Che bello il nonno con la divisa, pensavo da piccola. Non gli cavi mai i particolari, al nonno. Una volta ci ha raccontato che mentre scappava giù da una collina ha sentito un fischio pazzesco e poi un gran bruciore al piede, e che poi quando si era potuto togliere gli stivali si era accorto che una pallottola era passata tra la suola grossa esterna e quella piccola interna, e rideva, e ci raccontava dello spavento e di questa cosa incredibile che non si sa come gli fosse stato risparmiato il piede. Se lo chiedeva tutte le volte. Un miracolo di qualche santo in Paradiso, diceva.
Sorridono, lui e gli altri soldati, nella foto in cima a una collinetta. Uno ha un braccio alzato come a salutare. Sorridono. Sono molto magri, si sono messi in posa per farla, e io non ho mai capito come in guerra uno trovasse il tempo per farsi una foto, per mettersi in posa. Te le mandava a casa, vero? C’è anche quella insieme a un asino che tira un carretto pieno di legna, e il nonno abbraccia un signore un po’ anziano. E ci sono gli altri soldati seduti come se fossero i giocatori di una squadra di calcio, davanti al carretto. E ridono. Son sicura che l’asino era del signore un po’ vecchio, quello che abbracciava il nonno.
Quante volte le avrò passate tra le mani, le foto della guerra? Quante volte ti ho chiesto di tirarle fuori dalle scatole, come un gioco di bimba, uno sguardo sul vostro passato che è anche il mio? Non gli cavi mai i particolari, al nonno. E quella foto, quella dove lui e i suoi amici soldati sono in riva al fiume, e ridono, sono in mutande e si stanno lavando i panni. Che io pensavo a come facevano a farsi le foto, in guerra. Quante volte le ho passate tra le mani?
E sempre, alla nostra domanda di bimbe, se avesse mai sparato o ucciso un uomo, io non lo so se lo diceva per davvero, ma rispondeva sempre (perché noi questa domanda gliela abbiamo fatta, quante volte, nonna?), lui sempre diceva così, che aveva sparato in aria, che sparare bisognava sparare, far sentire che il fucile scaricava, ma lui non voleva sparare a un altro uomo, e sparava sempre per aria. Io mi sono immaginata tante volte di essere mio nonno. E lo guardavo negli occhi mentre stava seduto a capotavola e leggeva il giornale e noi guardavamo le foto, e speravo di vedere quello che aveva visto lui. Non gli cavavi mai i particolari, al nonno. Io pensavo alla guerra e alla morte e lo guardavo e guardavo come guardava, e cosa avevano visto quegli occhi, e come si può dimenticare, e come il caso avesse voluto che lui fosse tornato. Lui ce l’aveva fatta, aveva resistito: per questo fatto c’ero anch’io.
Le avrò guardate mille volte, nonna, quelle foto.
Solo che, nonna, io non le avevo mai guardate dietro. Non avevo mai letto quello che il nonno ci aveva scritto.

  1. Padova, 13/10/1941 La partenza
  2. Vita da accampamento
  3. A te Maria col più grande affetto. A.
  4. … Ma superata la prima vetta nel riposo di ristoro non ci manca il solito sorriso. A. Drenova, settembre 1940
  5. Alla mia piccola lontana vicina sempre al mio cuore. Con tanto affetto. A. 26-6-1941
  6. Alla mia cara Maria che tanto amo. A. Ti rana, 10-agosto-1941
  7. Sebbene in guerra ma sempre allegri. 28-9-1941
  8. Sebbene uomini si può fare benissimo il bucato in mancanza della donna vero? Contenti del nuova arte imparato. 1942
  9. Con due albanesi e un somarello; sempre il sorriso è nelle nostre labbra
  10. Con tutto il cuore alla donna che ò tanto amato e che amo. A. 17-5-1943
  11. Maria! Sperando solo in te.
  12. Ricordati sempre di me.

[glistupidipensieri]

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Lia Finato “Zazie”
Quasi quarantenne mamma e moglie, frequenta per lavoro gente molto saggia di età compresa tra i tre e i sei anni, imparando un sacco di cose. Il resto del tempo non le basta mai.

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(update: la Lia ci ha mandato le foto, fronte e retro)

Informazioni su il Many

(marco manicardi)
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