Storia di Gisberto

di Andrea Bentivoglio “benty”

Gisberto a Gualdo lo conoscevano tutti. Non è che ci volesse tanto in un borgo di 2300 persone, ma sicuramente non era uno che passava inosservato. Un po’ per gli occhi spiritati, un po’ per i capelli arruffati, un po’ per i nove figli. Era il sarto del paese ma tutti sapevano che non era solo un semplice sarto. Sapevano che in quella bottega di sartoria, giù per lo stradone, spesso si radunava gente. Sapevano che i paesani meno istruiti non andavano lì per imparare come fare l’orlo dei pantaloni, ma a farsi spiegare che significava “socialismo” e cosa gliene sarebbe venuto a loro se questo “socialismo” avesse poi alla fine preso piede. Ma come si faceva a farlo lì, in cima a quella collina del maceratese, che le terre erano tutte in mano ai possidenti, e come gliele avrebbero tolte per darle al popolo, ai poveretti, ai mezzadri? Gisberto mentre rammendava una gonna, un po’ in italiano e un po’ in dialetto perché capissero meglio, glielo spiegava.

Ogni tanto Gisberto rubacchiava la farina in cucina, facendo disperare la sua giovane moglie dagli occhi azzurri Corintia, che già da mangiare per sfamare quelle nove bocche se ne vedeva poco in giro di quei tempi. Ma lui diceva che gli serviva per farci la colla, così da poter attaccare nottetempo certi manifesti per i muri del paese “Ci manca solo che ti metti nei guai con nove figli a carico!” Corintia si lamentava. Non bastava la sua passione per il teatro, scrivere e interpretare commedie in dialetto, pure la politica! Di politica Gisberto parlava spesso con Romolo Murri, lo studioso cattolico che in fondo allo stradone ci viveva, circondato da migliaia di libri di storia filosofia e religione. Non la vedevano allo stesso modo, ma si rispettavano e si volevano bene. Discutevano per ore facendo il giro del paese, passando sopra al muraglione, davanti ai monti Sibillini e poi fino su in piazza.

In un paese piccolo quando ti dai troppo da fare, poi finisce che a qualcuno diventi antipatico. Il prete non lo vedeva certo di buon occhio, le famiglie ricche dei fascisti non lo sopportavano proprio. Ogni occasione era buona per fargli pagare le sue simpatie politiche inappropriate. Gisberto si rifiutò di prendere la tessera del fascio. Lo ripagarono con perquisizioni continue a casa, percosse e gran bevute di olio di ricino. Lo costrinsero a indossare la camicia nera, e poi una volta lo fotografarono anche in mezzo a un gruppo di fascisti sorridenti e beffardi, e lui ci aveva uno sguardo torvo che terrorizza ancora oggi se vedete quella foto. Le scaramucce fra lui e i fascisti continuarono per mesi. Veniva convocato per partecipare alle adunate del fascio in piazza e lui non si faceva trovare. Se ne andava a caccia nei boschi della contrada Tomassucci vicina al torrente Salino: meglio i tordi e le beccacce per farci la polenta che i saluti romani. Allora quelli gli negarono il contributo economico per le famiglie numerose che gli spettava, così avrebbe imparato a fare propaganda socialista, morto di fame che non era altro.

Ma lui insisteva, radunava gente, riscuoteva simpatie, infondeva coraggio ai ragazzi di Gualdo che, spinti dai suoi ideali, iniziavano a confluire nelle brigate partigiane spontanee che si formavano nei paesi attorno. Il Gruppo Bande Partigiane Nicolò e il Gruppo Primo Maggio agli ordini dell’eroico comandante Decio Filipponi operavano fra San Ginesio, Sarnano e Cessapalombo. Le loro fila si infoltivano ogni settimana dal Settembre del ’43. Raccoglievano militari sbandati, prigionieri liberati dai campi di prigionia di Colfiorito e Sforzacosta, renitenti alla leva e giovani patrioti. Le operazioni di disturbo contro i nazifascisti e le azioni di guerriglia si susseguivano coraggiosamente, nella speranza dell’arrivo rapido e risolutorio degli alleati da sud. Molto spesso i fascisti locali, animati dal rancore per questioni personali, erano assai più zelanti dei tedeschi nel perseguitare le teste calde, partigiani o no che fossero.

Una volta c’era questo spettacolo da portare in piazza, una commedia scritta da Gisberto che era anche l’attore protagonista della sua compagnia. I nazifascisti l’avevano già da tempo segnalato e inserito in una lista nera, tutta gente che andava eliminata. Si diceva che fra i delatori ci fosse anche il parroco, a cui i socialisti che diffondevano quelle malsane idee di libertà e uguaglianza, che non avevano bisogno di Dio e del Papa, non dovevano essere troppo simpatici. I tedeschi e i fascisti decisero che la sera dello spettacolo avrebbero tolto di mezzo quel sovversivo di Gisberto, proprio mentre era sul palco, così che la lezione fosse chiara a tutti. Quella era la fine che avrebbe fatto chi cercava rogne e metteva in testa alle gente cose sbagliate.

Ma il paese è piccolo, certe voci circolano, e a Gisberto c’era tanta gente che gli voleva bene. Forse perché ci aveva tutti questi figli, o perché magari quella volta gli aveva cucito il vestito da sposa a credito, o perché erano compagni di caccia, o magari gli piacevano le sue commedie, vallo a sapere. Comunque si venne a sapere che l’avrebbero ucciso mentre era in scena. Gisberto sul palco ci salì anche quella volta, spavaldo, spettinato e con lo sguardo spiritato. Come sempre li fece ridere e li commosse e si prese la sua dose di applausi, da attore narciso quale era. Tutto filò liscio anche perché quella volta sopra il palco, nascosti dietro il sipario, c’erano Loris e Raul, giovani partigiani che avevano a lungo frequentato la sua bottega, a sorvegliarlo come angeli custodi coi mitra spianati al posto delle ali e gli occhi ben aperti.

Il 24 Dicembre del ’44 il Gruppo Bande Partigiane Nicolò, agli ordini del tenente colonnello Pantanetti, entrò a Gualdo e ne occupò il comune. Prese possesso del silos e distribuì grano alla popolazione stremata. Sono sicuro che mio nonno Gisberto passò un Natale davvero indimenticabile quell’anno.

[Tragedie Greche]

Informazioni su il Many

(marco manicardi)
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